Ho pensato che fosse importante cercare di imprimere per scritto le impressioni di ieri sera, niente di particolare, ma credo che i momenti ‘in bilico’ siano in realtà di una rilevanza particolare, come contenitori di tracce per zone da aprire, solitamente appartenenti alla penombra.
Come se in quella irrequietezza ci fosse un po’ lo stato delle maree, delle giornate grigie in cui le nuvole passano sopra la superficie riflettendovi il proprio tremore e anche l’acqua borbotta in un moto di stallo gravitante e caotico, pesante e denso, che sembra tirar fuori suoni vicini alla parola ma che della parola non hanno il contenuto, solo un accenno di forma.
Ecco, io rientravo con la macchina dalla Salana a recuperare le mie sedie e il mio tavolino da giorni lasciati lì. I ragazzi sono stati molto gentili a preservare il tutto senza lamentarsi della mia piccola occupazione nel loro ufficio. Mi hanno anche offerto di partecipare a un gioco per vincere una bottiglia di prosecco, facendo centro in un canestro posto in alto, con la pallina da ping pong. Ho fatto schifo effettivamente, e voglio difendermi dicendomi che in fondo è perché il prosecco non mi piace. Ci fosse stato il rosso…
Già lì ho iniziato a provare qualcosa di ambiguo, si è accesa quella miccia di incertezza, dovuta al fatto che alla Salana c’era un ambiente di ristoro carino e amichevole, musica fuori con le lucine già accese, poca gente, ma gente che pareva interessante ad animare i tavoli e a ridere insieme. Ho pensato che mi sarebbe piaciuto far parte di quel quadro ma non avrei avuto voglia di stare lì senza nessuno, non avevo dietro neanche un libro o un quaderno su cui scrivere qualcosa. Grosso sbaglio.
Quindi me ne sono andata via senza sforzarmi, senza mettermi nella condizione di fare qualcosa che mi pungeva nel desiderio ma attraverso una lente di compromesso, perché mi sarei sentita a disagio a farlo da sola, visto che era anche nella compagnia il senso di ciò che mi piaceva. Poter godere di uno spazio ludico di sollazzo con qualche amico, bere una birretta e godersi il tramonto, tra la musica e qualche risata. Pratico, chill, poco impegnativo ma risolutivo.
Salgo in macchina e mi avvio a una gelateria. Ho evacuato tutto il giorno dai bassi fondi delle mie interiora ma adesso mi sento bene e ho molta fame. Dopo aver trangugiato un pacchetto di rodeo nello stile di un assetato nel deserto di fronte a un po’ d’acqua pulita, penso che per riequilibrare il gusto di sale che mi fa ancora deglutire, un gelato sia la scelta migliore. Cerco su maps per guardare la gelateria più buona. Di solito tendo a muovermi con il fiuto in queste occasioni ma ho imparato che se il desiderio non è forte a poco serve, si rischia solo di perdere tempo e di ritrovarsi a mangiare un gelato confezionato, nell’unico bar ancora aperto.
So che in questo caso la voglia di gelato è più uno sfizio, e già che lo decido voglio che sia uno sfizio ben appagante, quindi cerco e trovo subito una soluzione al caso mio.
Mi dirigo a ‘le bontà’ e scovo davvero un luogo raffinato che sembra investire nel gusto, in cui decorazione e qualità possono andare di pari passo. Guardo la vetrine dei gelati e mi accorgo subito che non troverò niente di vegano, ma mi dico che per una volta posso fare uno sgarro. Sono ancora all’inizio del mio processo. Prendo due gusti nel cono, che di solito non prendo, ma in questo posto i coni hanno un aspetto bellissimo e non mentono all’occhio. Il gelato è buono, cremoso, si sente tantissimo il latte e le uova, forse anche perché non ne mangio da un po’.
Cammino e brancolo in questo stato di abbandono, di confine, dal sapore dolce e amaro insieme, il gelato fa da sottofondo – da colonna sonora, impastandosi nella bocca, con note di allegria,
Non sono triste o malinconica sono in balia di una pienezza che vorrei mordere a pieni denti e non so dove sia. Mi guardo intorno, Lucca è ormai entrata nella sera, niente più luce rosata all’orizzonte, la luce è solo quella dei lampioni, nei loro fasci di iridescenza. Vorrei girare l’angolo e trovare qualcosa, mi manca qualcosa da assaporare dopo il gelato o insieme ad esso, qualcosa per un’altra forma di nutrimento, che sa di denso adesso. Forse un corpo, un corpo con cui parlare, un corpo con cui condividere le cose semplici come carezze del vento sulla pelle, come una birra nell’ora del tramonto alla Salana o un gelato vicino alle mura del centro città.
Allora inizio a pensare a qualcosa che mi possa far bene e appagare. Inizio a immaginarmi come sarebbe se avessi delle persone per condurre un mio laboratorio di scrittura, che forse non chiamerei ‘creativa’ al massimo ‘creante’. Un laboratorio per mettere gli accorsi di nuovo in contatto con la loro immaginazione e la loro voce interiore, per entrare dentro di loro e imparare a guardare il fuori facendo perno sulle immagini, e ritrovare le parole come tesori nascosti per le loro descrizioni ulteriori e quindi chiarificazioni. Portarli oltre il limite di ciò che ‘non riesco a dire o esprimere’, cogliendo la possibilità che possiamo darci di tirar fuori ogni cosa nel modo che ci è proprio, senza giudizio. Inizio a pensare alla classe, alle mie parole, alla presentazione, la dinamica di gruppo, cosa dire, cosa fare, le prime interazioni e come far sentire tutti a loro agio. Ne viene fuori un quadro stupendo, sento, qualcosa che avrei davvero voglia di regalare a me stessa.
Arriva il momento della proiezione del cinema, sono in anticipo ma adesso posso considerarmi giunta a destinazione, aspetto un attimo e poi entro, ma il meglio della mia giornata l’ho già vissuto.
E da domani mi dico, lo creo.
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