Movimenti in accordo, Gennaio

Così tante cose da scrivere che non saprei da dove iniziare.

Questa Luna Piena in Cancro, questa vibrazione che si fa spazio dentro la mia materia, i libri dell’Allende che finiscono e lasciano la malinconia di una vita passata eppure vicina, aperta tra l’ultima pagina e la copertina, sopra il comodino. La riflessione sopra questa acqua, i moti interiori, questi incontri, questi amori. Cosa voglio o cosa vorrei? Di quante parole vorrei poter inondare il mondo, la realtà, gli occhi e le orecchie degli altri, gli sguardi. Tornare su un frammento mille e mille volte ancora per poterne trarre l’insegnamento, quella spada nella roccia che si trova in ogni piega della materia.
Il tempo è poco e non basta mai, io vorrei solo scivolare in questo caos\cosmo, caos cosmico, cosmico caos, per pettinarne i fili e ricomporre le tracce e sapere cosa dire a chi, come e perché. Ci sono così tanti campanelli accesi per i miei timpani, così tanti suoni che mi ridestano. La confusione è il semplice assommarsi di cose con le loro ombre, profili, chiese, case. Sembrano così difficili da combinare e rappresentare, si trovano in schiera, ma ciò che vi accade non ha la medesima andatura, i tempi sono piegati, uno sull’altro come una coperta ricomposta sull’armadio, un angolo non vale solo per se stesso, è un punto in cui si sprofonda tra il vecchio e il nuovo e qualcosa che è rimasto appeso. Vorrei fare questa opera lirica, andare da tutti con pile di fogli scritti, senza censurare niente, con una confidenza spietata, franchezza spavalda, compassione innata. Tutto, come in un abbraccio. Ti guardo, ti vedo fratello, sono qui solo per questo, io testimonio e non è un peccato, il mio sguardo serve per innalzarti al tuo tempio. Vorrei che anche a me fosse dato.

Dentro l’utero si fa lo spazio per la parola. Vorrei essere così tanto coraggiosa come sono sulla carta.

Sogno di portare ad ogni persona il suo pacco con la sua lettera e dirgli di trovarvi la propria verità.

Piena di parole per voi, cascata di parole da non so quali spazi. Da dove questi echi prendono le vie per attraversarmi. Vedo solo ciò che vedo, ma la chiarezza me la confida un occhio acuminato da molte altre vite e altri incontri. Adesso lascio andare il peso di molte considerazioni e mi fondo a questo. Cosa voglio, anche adesso?
Ho bisogno di stare solo, curare questo mal d’amore dalle corde spesse, che stringono attorno alle caviglie e al petto e mostrano i segni, tra i lividi, su cui piovono lacrime avvizzite di ricordi. Il petto ha questa caratteristica, come un muro su cui rimbalza ripetutamente la palla durante l’allenamento, è anche battito del tamburo, ma molto spesso uno sparring partner.
Vorrei poterti scrivere che mi piacerebbe farmi conoscere, ho questa tensione da tutte le parti, vorrei che chiunque potesse vedere quello che in me ha il suo potenziale, il mio pensiero, il mio corpo sottile. Lo sguardo che si posa sulle cose per bilanciarle, offrirle, non giudicarle. Non voglio più giudicare niente, come la scorsa sera. Sono uscita dal giudizio ed entrata nell’onore, era ciò che volevo fare anche con Lui, ma non ci sono riuscita, era un peso troppo grande da eludere. E da tutto questo mi libero, mi libero perché sono solo io, un pezzo intero, integro, tutto di un pezzo in infiniti frammenti flessibili, a volte sbilenchi ma anche lucenti, che permettono alle cose di immergervisi, specchiarvisi, ecc, ecc…

Siamo così tanti che per quale motivo dovremmo mai sceglierci? Io mi rendo conto che sì, opero una selezione tra la massa delle cose e persone, una selezione grossolana, ma poi è come se tra ciò che resta la perla fosse semplicemente la cozza che si apre a mostrarla. Sono appassionata della vita che si consuma dietro a una corazza, delle immagini che produce, le parole che mastica e utilizza, i toni, le sfumature. Vorrei dare di più a tutti, sento che ognuno mi appartiene come un tesoro, non perché lo disponga io, ma perché in esso lo riconosco, vedo una luce che risiede in quel particolare, che non è ripetibile. Mi innamoro delle piccole cose, dei piccoli gesti, delle sbavature, di quelle cose personali, vorrei farne collezione a non finire. Forse per farlo dovrei essere il più neutra possibile. Non arricchire di passi miei e miei sbavature le vie in cui mi incontro con l’altro. Non mi dovrei del tutto mischiare, per non sbaragliare le carte, eppure quanto è bello farlo e ritrovarsi così come si può essere con la sommatoria dei propri attimi.

Mi sembra un buon compromesso questo scritto che gli ho appena inviato. Mi faccio spazio in un intenzione del mio cuore libero e fresco, genuino, è il piano per la formazione, creazione di ciò che desidero. Un passo alla volta come un cieco con un bastone in mano.

Mi confondo e poi sento tutte queste corde accese in movimento nell’intestino, c’è una battaglia di musiche tra loro e l’utero, a volte è una battle rap, altre più una sfida a colpi di melodrammi. Hanno dei gusti raffinati però, a livello di tematiche e stili.

Io credo che sia questa la risposta, questo spazio, questa calma, questa prospettiva. Niente di eclatante se non io stesso con tutto il mio repertorio libero e rigoglioso voglioso di darsi e ripercuotersi nel mondo. Il mio canto libero, la mia bandiera spiegata e sciolta nel vento, al vento.

Il mio canto libero…

per il mondo, come suo eco.

Guarda quante cose che si muovono stando ferma su di un tavolo, il telefono balla la sua musica di notifiche e altre vite che si incastrano alla mia, hanno bisogno anche della mia. Ma non è meraviglioso che in questa immensità ci sia ancora lo spazio per le cose piccole, per strutture su misura, che nonostante questa connessione magna, questa prerogativa di uno sguardo che si allarga restiamo sempre attratti dall’attrattiva della piccolezza, dei nostri passi sulla terra, la nostra piccola comunità, i nostri affetti. Non si vivesse con chiusura questa ricchezza, ma con libertà. Sarebbero arcipelaghi di isole che si inviano segnali come radiazioni cardiache, ad intonare una quiete dirompente nell’atmosfera, il mare contornerebbe le sponde e ci insegnerebbe la pace, attraverso di noi. Come solo per noi può essere.

Mi piace scrivere, placa tutto e si fa quiete. A volte ne ho così paura, perché ciò che penso non sempre è ciò che scrivo, anzi quasi mai, e a volte ne ricevo come un rifiuto, come se volessi esercitarne il controllo. Ma non si balla così con la musica dell’anima, dobbiamo provare il rischio di lasciarsi andare il balia della sua onda che richiama ad ampiezze più ampie di quelle a noi ristrette, dalla nostra veduta.


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